Ruolo della proteina del Parkinson LRRK2

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 28 ottobre 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il gene della chinasi LRRK2 (leucine-rich repeat kinase 2) è tra quelli più spesso mutati nelle forme familiari della malattia di Parkinson e, per questo motivo, è indagato da molti anni in un filone di ricerca che ha prodotto una grande quantità di dati e nozioni. Molto si è appreso circa le proprietà molecolari di LRRK2, a proposito dei regolatori a monte e sui substrati della sua attività enzimatica in qualità di chinasi, ma la sua precisa funzione non è stata ancora stabilita.

Evidenze recenti suggeriscono un ruolo di LRRK2 nella riparazione delle membrane nel sistema endosomiale/lisosomiale. Su questa base Xinbo Wang e numerosi colleghi coordinati da Pietro De Camilli hanno dimostrato che LRRK2 purificato possiede proprietà di rimodellamento delle membrane biologiche. L’interessante lavoro condotto da questi ricercatori ha prodotto evidenze a sostegno dell’ipotesi che l’abilità della proteina di rilevare e indurre la curvatura di membrana possa costituire l’essenza della sua funzione nelle dinamiche di membrana. Queste proprietà potrebbero supportare un ruolo diretto di LRRK2 all’interfaccia della membrana con il ruolo di segnalazione del suo dominio chinasico.

(Wang X., et al., Membrane remodeling properties of the Parkinson’s disease protein LRRK2. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2309698120, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience, Department of Cell Biology, Yale University School of Medicine, New Haven, CT (USA); Aligning Science Across Parkinson’s Collaborative Research Network, Chevy Chase, MD (USA); Department of Biochemistry, University of Geneva, Geneva (Svizzera); Kavli Institute for Neuroscience, Yale University School of Medicine, New Haven, CT (USA); Program in Cellular Neuroscience, Neurodegeneration and Repair, Yale University School of Medicine, New Haven, CT (USA).

Per comprendere il rilievo dei risultati ottenuti dagli autori dello studio qui recensito in funzione della conoscenza della biologia della neurodegenerazione parkinsoniana, è necessario conoscere la malattia di Parkinson. A beneficio del lettore non specialista, si propone qui di seguito un’introduzione alla malattia tratta da un nostro precedente articolo[1].

In questo modo nel 1817 James Parkinson descrisse le caratteristiche sintomatologiche salienti del disturbo neurologico eponimo, allora definito “morbo”: movimenti involontari con carattere di tremore, accompagnati da diminuzione della forza, non rilevabili nelle parti del corpo a riposo e nemmeno in quelle sostenute; una tendenza alla flessione in avanti del tronco e a passare da una deambulazione normale a un passo di corsa, con conservazione delle facoltà intellettive.

A duecento anni di distanza questa descrizione clinica è sostanzialmente valida, anche se può essere integrata da elementi tratti da una più precisa semeiotica di osservazione: il tremore[2], ad esempio, è evidente nella mano ferma non trattenuta dall’altra mano o impegnata ad afferrare, e si distingue dal tremore di origine cerebellare che si accentua nello sviluppo intenzionale dell’azione; la conservazione delle facoltà intellettive è una caratteristica che bene si spiega sulla base di una degenerazione in gran parte confinata alla componente originata dalla parte compatta della sostanza nera del sistema nigro-striatale, ma l’associazione di un decadimento cognitivo che evolve in un quadro di demenza è meno rara di quanto si ritenesse un tempo[3].

Nella descrizione di James Parkinson manca un preciso riferimento alla tipica rigidità parkinsoniana che non è spastica, ma oppone solo lieve resistenza al movimento passivo, e perciò è detta in semeiotica neurologica rigidità cerea. A causa di questa resistenza, quando si mobilizza un’articolazione, ad esempio flettendo e estendendo l’avanbraccio sul braccio del paziente, si avverte una resistenza che poi cede, a piccoli scatti, come se nell’articolazione ci fosse una ruota dentata: è appunto il cosiddetto fenomeno della ruota dentata.

Manca anche nelle parole del medico londinese il riferimento alla tendenza statica con difficoltà all’avvio dei movimenti, convenzionalmente definita acinesia, e la lentezza esecutiva o bradicinesia. Si può ritenere che Parkinson, nel suo accostare lo stato neurologico del paziente a quello di una paralisi, avesse incluso rigidità, acinesia e bradicinesia. Con criteri neurologici che si andarono affermando alcuni decenni dopo e sono ancora adottati oggi, il termine “paralisi” è erroneo, anche se l’uso che ne aveva fatto il clinico inglese voleva sottolineare il contrasto mai descritto prima in neurologia tra uno stato di infermità motoria o deficit di motilità e le scosse del tremore, molto evidenti nei suoi pazienti. Per questa ragione intitolò il suo saggio An Essay on the Shaking Palsy. Quando nel 1841 Marshall Hall diede alle stampe il suo trattato Diseases and Derangements of the Nervous System, si levarono molte critiche alla sua denominazione della malattia paralysis agitans, critiche erroneamente rivolte ancora oggi da alcuni autori a Marshall Hall[4], il quale si era limitato a tradurre in latino il nome dato alla sindrome dallo stesso James Parkinson.

Fu il neurologo tedesco attivo presso il King’s College Hospital di Londra e co-fondatore del Maida Vale Hospital for Nervous Diseases, Julius Althaus, a introdurre la denominazione eponima di malattia di Parkinson. Nel gergo clinico si conservò a lungo, fino alla scoperta del deficit dopaminico e all’introduzione del precursore L-DOPA in terapia, il termine “morbo”, per indicare un’entità clinica di cui non si conoscevano eziologia e patogenesi.

Pierre Marie scoprì che uno dei segni precoci, quando ancora non sono evidenti quelli che abbiamo menzionato, è la rarità dell’ammiccamento: una persona che ancora non presenta lentezza, tremore degli arti superiori fermi e instabilità posturale, batte le palpebre meno del normale. Fisiologicamente noi battiamo le palpebre da 12 a 20 volte al minuto; nel paziente parkinsoniano la frequenza si riduce a 5-10 volte e può associarsi una lieve modificazione della rima palpebrale dovuta all’ipomimia dei muscoli facciali, con conseguente aspetto di colui che fissa qualcosa. La riduzione di tono e movimento dei muscoli del viso si accentua solo col progredire della malattia e, nelle fasi avanzate, conferisce un’espressione statica innaturale, che può giungere fino all’effetto “maschera”.

Rinviando ai trattati di neurologia per la descrizione dettagliata delle manifestazioni cliniche e alle trattazioni specialistiche per le espressioni sintomatologiche delle lesioni dei cosiddetti gangli basali, qui ci limitiamo a ricordare che le descrizioni classiche impiegate per decenni, come quella di Hoehn e Yahr (1967), con segni come l’andatura festinante, erano state elaborate prima dell’introduzione in terapia della L-DOPA.

La vecchia distinzione tra malattia di Parkinson e parkinsonismi, come il parkinsonismo post-encefalitico, abbandonata alcuni decenni fa, si sta nuovamente facendo strada, accanto all’evidenza sperimentale dell’esistenza di forme neuropatologiche differenti in termini genetici, istologici e biochimici. Ormai da tempo è emerso che, come per la malattia di Alzheimer, esistono forme monogenetiche rare e forme comuni e frequenti ad eziologia multifattoriale, ossia causate da interazione tra fattori ambientali e fattori genetici. Conservando la categoria unica si riporta, ad esempio, un’età di esordio che va dall’età giovanile a oltre l’ottava decade, magari specificando che è rara prima dei 30 anni, e precisando che il maggior numero di casi si ha tra i 45 e i 70 anni[5]. In realtà, se si escludono i casi familiari di certa o probabile origine monogenica, l’esordio in molte casistiche è più spesso poco oltre i 60 anni.

Si riporta qui di seguito qualche cenno sulle prime acquisizioni di genetica del Parkinson, ricordando che una parte considerevole dei risultati delle nuove ricerche è stata da noi riportata nelle numerosissime recensioni di lavori originali proposte in questi anni nelle “Note e Notizie” del sito.

Nel 1997 una mutazione missense (A53T) nel gene SNCA dell’α-sinucleina fu identificata quale causa di malattia di Parkinson familiare, ereditata come un carattere mendeliano dominante e caratterizzata da una patologia a corpi di Lewy (Polymeropoulos et al., 1997). Successivamente, altre due mutazioni missense (A30P; E46K) furono identificate in famiglie con malattia di Parkinson e demenza a corpi di Lewy[6]. Complessivamente, tre mutazioni autosomico-dominanti quali causa ereditaria. Altre mutazioni autosomico-dominanti furono poi trovate nel gene LRRK2 (a.k.a. PARK8 codificante la leucine-rich repeat kinase 2) e oggi, che sono state trovate molte decine di mutazioni in questo gene, si considerano la causa più comune di malattia di Parkinson familiare. Sia SNCA che LRRK2 presentano molti polimorfismi comuni che esercitano effetti di rischio altamente significativi per le forme geneticamente complesse di malattia di Parkinson.

Le prime forme genetiche di malattia di Parkinson ad eredità autosomica-recessiva sono state identificate in tre geni: PARK2, che codifica l’ubiquitina-ligasi parkina, PINK1 e PARK7.

Oltre questi cinque loci genici, sedi di mutazioni causanti forme a eredità mendeliana, sono stati individuati numerosi altri loci per le forme familiari di malattia di Parkinson. Infine, vi sono gli studi di genetica delle forme ad ereditarietà multifattoriale[7].

Torniamo ora allo studio qui recensito sul ruolo fisiologico di LRRK2.

Come si è detto più sopra, le mutazioni nel gene della chinasi LRRK2 (leucine-rich repeat kinase 2) costituiscono la causa più frequente di malattia di Parkinson familiare, ad eredità autosomica dominante. Xinbo Wang, Pietro De Camilli e colleghi, impiegando sistemi cell-free, hanno dimostrato che la proteina LRRK2 purificata si lega direttamente al bilayer fosfolipidico con una preferenza per i doppi strati di membrana altamente curvati. Mentre questo legame è nucleotide-indipendente, LRRK2 può anche deformare i liposomi di bassa curvatura in tubuli stretti in un modo dipendente da guanil-nucleotidi ma indipendente dall’Adenosina 5’-trifostato.

La sperimentazione ha anche evidenziato che l’assemblaggio di LRRK2 in impalcature poste alla superfice di tubuli lipidici, ne può provocare la costrizione.

I ricercatori ipotizzano che una speciale interazione tra il rimodellamento di membrana e le proprietà di segnalazione di LRRK2 può essere la chiave per la sua funzione fisiologica. LRRK2, attraverso la sua attività chinasica, può esercitare la funzione di segnalazione nei siti di membrana in cui si verifica il rimodellamento.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-28 ottobre 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 25-03-23 Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson.

[2] Nella maggior parte dei pazienti la frequenza del tremore è stimata in 4-5 scosse al secondo, ma in alcuni appare più rapida e raggiunge le 7-8.

[3] Note e Notizie 02-07-11 Origine delle oscillazioni beta patologiche nel Parkinson.

[4] Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.

[5] Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.

[6] I corpi di Lewy sono costituiti da α-sinucleina mutata.

[7] Note e Notizie 25-03-23 Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson.